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Il Ciambro 43 anni dopo.

In questo caldo agosto mi sono levato un pensiero che da tempo coltivavo: placchettare la Speluga del Ciambro.
Due brevi parole di inquadramento sono d’obbligo.
Correva l’anno 1970 e il GSM era un gagliardo bienne tutto preso dalla smania di scendere le “spurghe” con i suoi 50 metri di scalette fatte in corte da Fabio con i fatidici tubetti di rame per ritenuta dello scalino. Stanchi delle modeste profondità offerte dal “fèo” avevamo rivolto la nostra attenzione all’altopiano di Asiago con tale insistenza ed entusiasmo che i Gruppi di Schio e Proteo ci avevano a malincuore concesso una fettuccia di territorio: precisamente la zona di Treschè Conca e Cesuna, non immaginando, ahiloro (Schio), che proprio nella zona di Cesuna avremmo scoperto una grande prosecuzione (Giacominerloch)…ma questa è un’altra storia.
Intanto esploravamo i boschi attorno a Conca e proprio presso Contrà Rossi sotto la Chiesa, ci venne a récia di una grande voragine molto ben conosciuta in loco, tanto da avere un proprio nome: Speluga del Ciambro.

Tale cavità si apriva nei boschi di una abitante della contrada: la LINA, che accolse di buon grado il nostro interesse e ci permise di accamparci per qualche giorno nei suoi prati, presso la voragine.
Ci accompagnavano i figli della Lina Renzo, 8 anni e una ragazzina adolescente di cui non ricordo il nome. Con la Lina vi fu un’intesa perfetta, rara tra i montanari, e diventammo buoni amici. Lei era “innamorata” soprattutto di Cesco Faccin, forse per il colore un po’ esotico della pelle.
Scendemmo la voragine che risultò profonda 83 metri e quando la portammo a catasto vi fu il celebre commento di Aldo Allegranzi, presidente del Trevisiol, che disse: “Però, ‘sti tusi, i taca a ‘ndar profondi anca luri” o qualcosa di simile.
Quarantatre anni dopo mi ritrovavo a vagare per i boschi sotto contrà Rossi cercando di ritrovare la grotta.
Gli abeti, che ricordavo non troppo alti, erano diventati alberi maturi, alti e dritti. Ritrovai la malghetta della Lina, ma di spaluga, manco l’ombra.
Tornavo allora alla contrà dove avevo lasciato scooter e consorte e, proprio nella porta accanto dove avevo parcheggiato, salta fuori nientemeno che…Renzo, figlio della Lina, che si ricordava benissimo di noi e anche di me che chiamavano IKO.
Come potete immaginare siamo ridiscesi al buso che abbiamo trovato a colpo sicuro, e placchettato.
Quello che non mi è piaciuto è la conferma che viene usato come discarica soprattutto di animali morti.
Ho indottrinato più possibile il “piccolo” Renzo, ora diventato un’uomo sulla cinquantina.
Questa è la storia del Ciambro, a metà tra i ricordi del Cantastorie e una relazione di uscita.
Pubblico alcune foto di allora, con il piccolo Renzo che ci aiutava con i materiali, e di adesso.
El pi vecio.
IKO

link rilievo Speluga del Ciambro

Riscriviamo la storia

Eccomi in veste di cantastorie a scrivere qualcosa di tanto atteso. Mi è piaciuto scrivere di una “guerra” iniziata 44 anni or sono che aveva per campo di battaglia i boschi del Fèo e per soldati dei ragazzi neanche ventenni che amavano vestirsi come militari.

Alla ricerca del secondo ingresso della Rana nei primi anni ’70

Mi viene in mente una divertente battuta di Marcello Sterle (Lèlo) che racconta come la buona gente del Fèo al nostro passaggio dicessa a mezza voce: ” a ‘tènto…varda..xe quà i fasisti”. La “guerra” non era altro che la ricerca di una cavità, ovviamente verticale, che permettesse di scendere al Buso della Rana dalla superficie del Fèo.

Primi rilievi e scoperte del GSM al Buso della Rana

La ricerca è finita. La “guerra” è vinta.
Il nostro avversario aveva posto delle difese formidabili: un “fossato” di sassi caotici, instabili di una
trentina di metri. E per giunta percorsi e attraversati dalle acque di piena che scorrono sotterranee.
Tutto ciò non è stato sufficiente. Le “formidabili armate” del Gruppo Speleologi Malo e Gruppo Grotte Schio con un assedio durato 8 anni hanno forato la roccia, spostato tonnellate di massi, contenuto con tubi e lamiere ondulate la frana incombente fino a renderla innocua.

Alla ricerca dell’uscita del Buso della Rana nei primi anni ’70.

E, finalmente, la “resa” del nostro avversario. Prima ad una squadre di “scout” che hanno forzato il passaggio finale, poi a due “battaglioni” delle due armate che si sono fiondati giù nel metallico budello terminale per la conquista finale e definitiva.
Sabato 17 marzo 2012 il “Buso della Rana” è stato congiunto alla “Grotta della Pissatèla”. C’era un’aria accogliente in sala “Ultima Spiaggia”. Un’atmosfera tranquilla, calda ed asciutta, che faceva intendere come il nostro avversario, constatato che la guerra era finita, fosse disposto ad accogliere con tutti gli onori i suoi vincitori.
Io, da buon cantastorie ho disegnato questa vignetta che vi allego.

Sabato 17 marzo 2012

Viva il GSM e il GGS.

El pi vecio.
IKO

SPELEO-GERIATRI in Pisatela

11 luglio 2009

Era da un pezzo che Ico e Cesare ventilavano l’idea di portare qualche vecchio speleologo alla grotta della Pissatela in Faedo; ogni volta che si fissava una data succedeva qualcosa che annullava l’appuntamento: una nevicata eccezionale, gli acciacchi di qualchespeleo-geriatra insostituibile, le piogge copiose; per dire qualche motivo di rinvio.
Si decise allora di fissare una data e rispettarla assolutamente, secondo la vecchia filastrocca che dice: “chi xe dentro xe dentro, chi xe fora xe fora”. Nel frattempo il GGS aveva “trovato” un ingresso alto della Pissy ed allora Cesare pensò bene di organizzare una traversata, secondo la logica che è meglio fare una strada una sola volta anziché andata e ritorno. Ma alle volte la logica non si deve applicare alla speleologia…vedremo poi perché.
L’appuntamento fu così fissato per Sabato 11 Luglio 2009. Risposero all’appello: Cesare Raumer, Federico Lanaro, Beppe Nassi, Renato Dani, Armando Stefani, Fabio Sartori, Alberto Rossi, Claudio Barbato, Enrico Gleria. I nove speleo-geriatri si ritrovarono a Monte di Malo al bar per un ultimo caffè. Sotto un cielo terso dopo l’ennesima pioggia del giorno prima ci trasferimmo in Val delle Lore per lasciare qualche auto, quindi a Contrà Cima al Faedo. Lenti preparativi, foto di rito al Capitello e via all’ingresso alto con il pozzo “pater noster” di cinquanta metri. Dieci minuti di buon cammino e siamo sul posto, dove un terrazzo di sassi ci fa capire la mole del lavoro compiuta dal GGS per l’apertura artificiale del “Pater Noster”. Ci vestiamo, dai sacconi escono vecchi imbraghi, maniglie Jumar, addirittura un discensore Diablo con tanto di maniglia-frenante. Fabio si stende a terra per riuscire a chiudere il ventrale su un imbrago di “trenta chili fa”. Cominciamo a scendere che sono passate le 11 del mattino. Beppe si ferma alla partenza della verticale per controllare la discesa di qualche geriatra particolarmente “arrugginito”, ma tutto fila liscio a parte il sacco di Claudio che sceglie di scendere il pozzo da solo in caduta libera, ma senza danni particolari. Iniziamo a percorrere il meandro Megal Gale che si rivela ben presto pittosto stretto e bagnato. Sono duecento metri pittosto “tecnici” dato che i passaggi sono: o a terra dove scorre allegro il torrentello ingrossato dalle recenti piogge, o in alto sull’allargamento di sezione, con notevole sforzo per non cadere ed incastrarsi. E’ una progressione faticosa anche per speleologi in verde età, figurarsi per le nove cariatidi che si cimentano nell’impresa. Comunque sia arriviamo finalmente alla Sala Monte Faedo. Un’occhiata all’orologio: le due passate. Faccio presente a Cesare che è ora di fermarsi e mangiare qualcosa. Enrico è un po’ indietro con Claudio che fa da “servizio scopa”. Enrico scivola e cade sulla mano protesa, sente un crak, si rialza e sviene sorretto da Claudio che era subito dietro. La situazione sembra grave.
Siamo ben dentro la grotta ed abbiamo un ferito. Già si pensa a mandare qualcuno a chiedere l’intervento del Soccorso. Intanto facciamo sedere Enrico e cominciamo a somministrargli un buon tè caldo e cibi ricchi di zuccheri. Sembra reagire bene. Claudio gli mette una fascia elastica che portava sulla mano per una frattura ad un dito. Cominciamo lentamente ad uscire. Sulla cascata Enrico se la cava egregiamente con l’aiuto di Ico e Cesare. Quando cominciamo a pensare che il peggio è passato Armando, messo un piede in fallo, scivola e cade battendo violentemente una natica su uno spuntone. E’ doloroso ma non c’è niente di rotto, anche lui dovrà stringere i denti e andare. Ad un certo punto Beppe raccoglie da terra un ciottolo e lo osserva incuriosito. Io gli chiedo cos’è e lui me lo passa e va via. Io vedo che è di colore bianco e nero, sembra strano e lo intasco, poi vedrò fuori come sarà. Arrivati allo Stargate decidiamo per la via dell’acqua, più breve anche se bagnata, piuttosto che il lungo aggiramento con pozzi e camini da percorrere in corda. E’ la scelta giusta visto che siamo già bagnati ed Enrico sarebbe sicuramente più in difficoltà sulle corde. Siamo così alla Sala dell’Orda. Breve sosta per tirare il fiato e rimettere gli attrezzi da progressione. Enrico è provato e sopporta il dolore con stoicismo. Fin qui è andato benissimo, non ci ha praticamente mai rallentato significativamente. Ora ci restano solo i pozzi da
superare, la parte che temiamo di più perché Enrico deve per forza arrangiarsi da solo in corda, noi lo agevoleremo in tutto, il più possibile. Partiamo, Cesare per primo, poi Enrico, noi teniamo la corda tesa da sotto. Enrico è, ancora una volta bravissimo. Solite chiacchere alla base dei pozzi, la speleologia non è cambiata da vent’anni fa. L’innovazione più significativa è data dall’illuminazione a led. Chi ce l’aveva ha illuminato anche i “carburati” che hanno tribolato assai con impianti datati come i relativi proprietari. Alle 18 e 45 è fuori anche l’ultimo speleo.
Dalle 6 ore previste ne abbiamo fatte 7 e mezza, ma per motivi più che giustificati. Siamo tutti stanchi e provati ma siamo contenti per l’impresa compiuta: la prima traversata ufficiale intergruppo della Pissatela, compiuta da nove speleologi la cui sommatoria di età arriva a sfiorare i 500 anni. Non male davvero.
Accompagno Enrico a casa dove Carla lo attende per portarlo poi al pronto soccorso da cui uscirà solo a notte inoltrata. Gli riscontreranno la frattura del polso e lo ingesseranno il giorno dopo. Lo strano “sasso” raccolto da Beppe e portato fuori da Ico risulterà essere un grosso molare di erbivoro. Paolo Boscato che vedrà la foto del reperto, dice che potrebbe trattarsi di un “megacero”, una specie di gigantesco cervo alto 2,5 metri e con palchi di 3 metri.
“Tutto è bene quel che finisce bene” recita un vecchio adagio: la nostra avventura in pissatela è quindi andata, tutto sommato, bene, anche se, col senno di poi, per un rientro in grotta dopo tanto tempo per alcuni, la semplice discesa e visita del Ramo Giacobbi e Sala delle Mogli sarebbe stata più realistica. Ma così è andata, e, nel bene e nel male, siamo felicissimi di aver compiuta la prima traversata ufficiale intergruppo di questa fantastica grotta, ulteriore sviluppo di quel grande, esteso, bellissimo”vuoto sotterraneo” altrimenti chiamato: BUSO DELLA RANA.
Federico Lanaro