Il Pantegano voleva rimanere libero, restarsene là indisturbato a stuzzicare la fantasia degli speleologi. Tutti ne avevano sentito parlare, tutti lo conoscevano di nome come Ramo del Pantegano, e anche di fatto come posto infelice quasi un condotto della fognatura, una discarica dove buttarci dentro gli scavi della zona Peep.
Posto umido e stretto scoperto quel 29/12/1980 come indica la scritta sul primo saltino di 2 metri.
Solo pochi lo avevano percorso tutto completamente, solo Beppe e Santina negli negli ’80 avevano cercato di disturbare il Pantegano risalendone il camino di 15 m e poi tuffandosi dentro il meandro sommitale. Poi più nulla , il Pantegano voleva restarsene solo e indisturbato.
Dove va a finire quel meandro? Quanto lungo è? Perché la cordellette lasciata sul camino a stuzzicare noi che siamo venuti dopo? Tante domande e poche risposte. Qualcosa di misterioso che nelle riunioni del
giovedì in sede ogni tanto ritornava.
Poi un bel giorno appare, come mappa del tesoro trovata nel baule impolverato il rilievo del camino del Pantegano. E il meandro sopra? Niente …e il mistero diventa voglia di riscoprire, di ingabbiare il Pantegano al suo destino che è il rilievo del Buso della Rana .
Sabato 20 marzo 2010 : ci ritroviamo io, Piega, Elisa, Alessandro, Bonni e Ztenca al bar di Monte di Malo. Giro di caffè e briosce e poi all’A&O per il pane e affettato.
Alle 9.30 le luci dei led e dell’acetilene illuminano il ramo principale e piano piano senza fretta arriviamo a Sala Snoopy. La parte turistica è passata ora viene il bello. Le malabolge passano senza più lasciare il segno e poi oltre fino all’inizio della strettoia Paolo.
Qui un attimo di distrazione ci conduce lungo un mandrino stretto che ad un certo punto diventa tanto stretto da farci chiedere:”ma è proprio di qui la strada?”. Niente paura è la terza volta che passo di qui e infatti una volta passati tutti ci accorgiamo che il meandro chiude inesorabilmente.
Che ci sia la maledizione del Pantagano?
Niente da fare , ritorniamo sui nostri passi e via per la strada giusta finchè non ci dividiamo e un gruppo va verso zona Peep. Niente paura e ritorniamo sui nostri passi.
E qui inizia la fognatura con bel scorrimento d’acqua che ci inzuppa per bene.
Superiamo il saltino di 2 m e poi quello di 6m. Ci arrampichiamo per i saltini successivi finché tra una imprecazione e un “ dove ci avete portato?”
Arriviamo al cospetto del camino del Pantegano. Un tiro e la cordellette si smuove, un saggio femminile di treccia e via la corda passa l’anello.
Pari o dispari? Tocca a me risalire e sotto uno scroscio d’acqua risalgo i 15 metri.
Siamo in cima al Camino del Pantegano. Per un attimo sogno nuove esplorazioni, salette, finestre non viste, poi il Piega mi sveglia e con la trouse da rilievo percorriamo il meandro.
Inizia subito largo sui 30 cm e alto sui 5 metri con scorrimento d’acqua alla base . Dopo circa 30 metri una piccola saletta con due meandri che vanno avanti. Uno fangoso dopo 15 metri si stringe troppo, mentre quello attivo lo percorriamo fino allo sbarramento di una frana. Niente da fare, guardiamo attorno ma a malincuore dobbiamo ammettere che qui muore il Pantegano.
Cominciamo a rilevare tornando indietro e l’arrivo del Bonni ci aiuta non poco il lavoro in questi ambienti così stretti.
Alla partenza del camino una finestrella ci insospettisce, traverso acrobatico, ma è solo una illusione e ritorniamo così dai nostri amici che infreddoliti ci aspettano sotto con tanta pazienza.
Recuperiamo la corda e lasciamo su la vecchia cordellette, disarmiamo il saltino e percorriamo il meandro fino a zona Peep.
Alle 21.30 sotto una pioggerellina tanto fine da sembrare neve usciamo dal Buso della Rana stanchi, bagnati, sconfitti ma con circa 80 metri di nuovo rilievo.
Il Pantegano finalmente è in gabbia.
Ciao
Matteo Scapin – Gruppo Speleologi CAI Malo
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Valle Sigolara ovvero canyoning in Valle dell’Agno
Sabato pomeriggio, cielo terso, temperatura mite quasi un accennno di primavera, le primule in fiore e la gente ancora in giro a fare la spesa.
Siamo in tre io , Alberto ( lo Zio) ed Eddy ( Il Frizzo) alle 12.40 all’A&O di Malo.
Saliamo in macchina e poi via verso San Quirico in Valle dell’Agno. Nel bagagliaio abbiamo tutto corde, muta, spit e piantaspit, cordini da abbandono, ramponi e due picozze ( non si sa mai che troviamo da divertici a fare piolet tradiction), ma soprattutto tanta curiosità e voglia di vedere cose nuove.
Pedaggio del traforo e siamo già a Valdagno, poi su al Maglio di Sopra e poi S. Quirico.
Ma cosa andiamo a cercare da queste parti?
Fare un vajo oggi no troppa neve recente e tempi ristretti, in grotta neanche manca al voglia,
una battuta non è il caso , a miniere siamo già stati la settimana scorsa. E perchè non scendere una valle, una foretta? Perchè non scendere la Val Sigolara?
Passiamo davanti alla Montagna Spaccata, ci guardiamo attorno e capiamo dove usciremo. Andiamo su verso Fongara e quando la chiesetta ci appare , anche la valle si fa vedere.
Come facciamo con la macchina? Parcheggiamo alla montagna Spaccata e poi su a piedi lungo la strada
asfaltata? No non è il caso. Fare l’autostop invece si . Qualcuno avrà la pietà di raccogliere ‘sti torrentisti del sabato pomeriggio.
Frizzo fa vedere al coscia pelosa e subito la prima macchina si ferma. Non ci posso credere!
In 5 minuti abbiamo parcheggiato la macchina e siamo già alla partenza della foretta.
Scendiamo nella neve molle e arriviamo al torrente.
Acqua ce nè abbastanza chissà che la foretta sia bella.
La prima bella cascata di circa 6 m la aggiriamo , senza corde e poi ecco il primo salto. Acquatico qui ci vuole la muta . Scendiamo.
La foretta presenta diversi saltini è già armata abbondantemente , fix, placchette, maglie rapide tutto immancabilemtne inox.
Saltino, salto diventa stretta e bella.Non c’è male per essere a San Quirico.
Arriviamo così tra un traverso e una scivolata nell’acqua gelida alla cascata dell’Airone dove compiliamo il libretto della foretta e ammiriamo l’ingresso del Buso delle Anguane.
Siamo alla fine della parte attrezzata e lungo il greto del fiume ci incammiamo verso valle, passiamo vicino ai ruderi di una vecchia centralina idroelettrica e passiamo sotto il ponte per Contrà Pelliccheri.
Ancora giù verso la Montagna Spaccata. Altri saltini con corda e arriviamo così alle passerelle dove restiamo ad ammirare la forra vera e propria.
Ormai siamo fuori, doppia foto con autoscatto e poi a cambiarci mostrando le chiappe bianche agli sciatori
del sabato pomeriggio.
Panino e coca alla Pecora Nera e poi ascoltando Ziggy Stardust ci infiliamo dentro al traforo verso casa .
Sabato pomeriggio concluso con un nuova esperienza da mettere nel cassetto.
Matteo
Alla ricerca dell’oro
Sabato mattina io e Alberto ( lo Zio) siamo andati in Valle dei Mercanti per proseguire il censimento delle
miniere.
Sempre sentito parlare di queste storiche miniere ma mai viste da vicino . Con il libro del Casolin in mano , fonte di infinite informazioni, ci siamo recati in prossimità della ex cava di caolino vicino al capitello che ricorda la rovinosa frana del 1901 che rase al suolo, nel senso che seppellì, la Contrà Mercanti. Da li abbiamo guadato il torrentello e girovagato per sterpaglie e rovi alla ricerca di una miniera che alla fine non siamo riusciti a trovare.
Proseguendo il cammino tra le russe, siamo giunti a Contrà Montenaro dove un signore ci ha indicato un
pozzo tra i prati e i rovi che va giù tanto, ma anche di questo abbiamo perso ogni traccia.
Con le spine tra le mani siamo risciesi al torrente e incamminati verso Contrà Tenaglia. Qui la fortuna non poteva abbandonarci e infatti al primo personaggio incontrato, abbiamo chiesto informazioni sulla miniera Arnaldo e la San Marco. La prima è completamente ostruita ma presenta un bel portale di cemento che
evidenzia l’importanza avuta a suo tempo ( lunghezza di circa 400 m e collegamento con altre miniere).
La San Marco, storica miniera risalente alla Repubblica Veneziana è ancora aperta e all’interno è bellissimo vedere le pareti completamente bianche di caolino.
Da li abbiamo risalito la stradina fino a incontrare le due miniere ( la 24 e la 60) e un pozzo del diametro di circa 3 metri che le collegava alla Arnaldo. Entrambe di lunghezza sui 200 metri complessivi con frane che impediscono di proseguire.
Siamo tornati anche in Val Riolo per censire l’ultima miniera rimasta indietro.
Per ora è tutto:il censimento prosegue ma di oro e argento neanche l’ombra
Matteo