Archivi categoria: Altopiano di Asiago

UNA ODISSEA ALL’ABISSO DEL CORNO DI CAMPO BIANCO

QUESTA CHE VI RACCONTO E’ LA STORIA VISSUTA DA DUE SPELEOPAPA’ CHE NEL CONTINUO GIOCO DEL TETRIS SONO RIUSCITI A INCASTRARE DUE GIORNI DI ESPLORAZIONE E SPELEOLOGIA ALL’ABISSO DEL CORNO DI CAMPO BIANCO.
NON CI SONO EROI O VICENDE EPICHE COME NEL RACCONTO DI OMERO, MA SOLO AMICIZIA E VOGLIA DI CONOSCERE L’IGNOTO CHE C’E’ LA SOTTO.

Da tempo che lo desideravo, da tempo che si rimandava.
Fatti quattro conti con il calendario, l’unico week-end libero per una uscita al Corno poteva essere solo quello ultimo scorso dal 8 al 10 Luglio e poi fino ad Agosto il Tetris della vita non dava altre possibilità.
Due settimane di ferie dal lavoro, una settimana a rosolarsi sotto il sole della Corsica , perchè non inserirci anche un bel viaggio al centro della Terra alla ricerca dell’Inutile?
Alla proposta risponde Lillo e si decide di partire già giovedi 07/07 sera in due con un obiettivo ambizioso: vivere la grotta con lentezza e magari se c’è la fortuna continuare l’esplorazione.
L’elogio della lentezza perchè davanti a noi abbiamo due giorni pieni disponibili, basta essere fuori per sabato sera a qualsiasi ora. Noi abbiamo di che sopravvivere grazie ai rifornimenti interni giù al bivacco.
Lillo passa a prendermi alle 19.00, ho sistemato bene la casa, messo un po’ d’ordine nel caos del dopo mare, ho avuto il tempo anche di andare in biblioteca a prendere il DVD della Pimpa e di Pippi.
Saluto Caterina e i bimbi e via con destinazione l’Altopiano di Asiago.
Ci fermiamo a Cesuna per una pizza al solito posto e scopro che sabato alle 21.00 a Camporovere suona il gruppo folk irlandese di mia cognata . Decidiamo di festeggiare le sicure nuove scoperte al ritmo delle ballate irlandesi e così fissiamo il termine della spedizione.
Poi ancora su verso la Val Galmarara, la solita valle percorsa oramai un sacco di volte. Siamo gli unici in giro e arrivati alla Malga Galmarara carichiamo in spalla gli zaini con il minimo indispensabile per i nostri obiettivi.
A mano a mano che saliamo i tuoni si fanno sempre più vicini, i bagliori nel cielo ci schiariscono la strada, finchè arrivati all’altezza dell’abbeveratoio sotto il Bivacco inizia un diluvio di acqua e grandine con lampi che scoppiano sopra le nostre teste e ci accecano la vista. Ad ogni scoppio siamo quasi accecati e ci rendiamo conto di essere proprio nel mezzo del temporale. Di corsa entriamo nel Bivacco Tre Fontane e come per magia il temporale si attenua e un po’ alla volta cala la sua furia.
Mentre preparo il the verde, Lillo ritorna sui nostri passi alla ricerca della maglietta dispersa e quando torna ci gustiamo al lume di candela due bicchieri di un caldo the invecchiato di malga.
Tra una chiacchera e l’altra aspettiamo qualche scout in pantaloncini e infradito con la chitarra la collo che però non arriva e così alle 22.00 ci corichiamo a letto ognuno con i propri pensieri e le proprie paure.
Alle 7.30 suona la sveglia e in un batter d’ali di gallo forcello siamo pronti a partire, ognuno con il proprio zaino, tanto la roba la lasciamo nella galleria sotto l’ingresso.
Percorriamo la Highway to Corno con una certa facilità, ci cambiamo, sistemiamo le vesti bagnate ad asciugare nello stendino improvvisato e riempiamo i sacchi fino quasi a farli scoppiare.
Ok siamo pronti.
I pensieri vanno per un attimo a casa, ai bimbi a Caterina, saluto la natura che ho attorno e sciolta la chiave dal discensore mi lascio traportare dalla gravità giù nell’abisso.
Mi sento impacciato, sono mesi che non vado su corda, quasi non ricordo più dove sono i frazionamenti e cerco di ricordare qual’è la tecnica per fare meno fatica.
Alla base del secondo pozzo, mi sento sciolto, le paure sono passate. Mi ricordo ancora come si fa a scendere su corda!.
La progressione è lenta ma costante, Lillo è sempre a vista, nessuno che ci insegue, l’ignoto che ci attrae.
Ogni tanto ci fermiamo a fare quattro chiacchere a prendere fiato, ad asciugarci dal sudore che ci copre.
E poi di nuovo giù. Pozzo, meandro, pozzo ,meandro, una successione infinita e rivedo immagini del passato: la prima uscita per trovare l’ingresso, l’armo dei primi pozzi, quando non trovavamo la strettoia per la Diaclasi bagnata, i luoghi diventano noti e tutto mi sembra famigliare.
Arrivati al pozzo “Xera Ora” rivivo per un attimo i momenti della prima discesa quando la squadra d’armo d’avanti a noi sembrava non fermasi mai e noi dietro a rincorrerli increduli su cosa stavamo scoprendo. I brividi ancora adesso!
Alle 12.00 circa arriviamo al Bivacco nostra casa per questi giorni.
Ci scaldiamo una zuppa Knorr e la condividiamo, un sorso io e uno Lillo, e così per un tempo che pare eterno e la zuppa che acquista sempre più bontà a mano a mano che si concentra.
Quando finisce è ora di partire e rifacciamo gli zaini.
Alla profondità di -750 mi appare una nuova grotta, la grotta che non conosco, dove non sono mai passato, fatta di frana e sassi bianchi , di gallerie enorni e acqua che scorre.
A -800 circa ci fermiamo. e’ qui che dobbiamo trovare la prosecuzione dell’Abisso dove l’acqua si perde in mezzo ai sassi.
Cerchiamo di demolire uno spigolo ma qualcosa va storto perchè senza accorgermene ho trapassato la roccia e faccio cannone. Non fa niente perchè con la mazzetta cerchiamo di liberare un po’ la strada e riusciamo a infilarci. Fatto un metro ci rimettiamo in piedi e vediamo l’acqua perdersi nel nero di una profonda diaclasi.
Spostiamo un sasso e lo facciamo precipitare giù nel nero più nero, un nero che la pila non riesce ad illuminarne il fondo. Saranno 50 metri a sentire i sassi , ma non vediamo.

E’ larga 50 cm per circa 5 metri, provo a scendere sperando di non bagnarmi.
Dopo circa una decina di metri mi sento tutto bagnato, provo a spostarmi piantando un fix, ma è troppo stretta, scendo ancora per altri 5-10 metri sperando in uno slargo, ma la cascata si frantuma su una cengia e mi inzuppo completamente. Tutto bagnato fradigio, penso a cosa posso fare, valuto anche di buttarmi giù come un caccia …e poi? Cosa risolvo? Mi sembra di osare troppo e così torno su. Anche Lillo prova a calarsi un po’ nella diaclasi, ma l’acqua è troppa.
Ci convinciamo che sarà per quest’inverno e che di li la grotta prosegue.
Torniamo fuori e mi sento ghiacciare dentro e fuori. Lascio Lillo a rilevare e io mi inginocchio tutto infreddolito. Mangio qualcosa per scaldarmi , del latte condensato un po’ di cioccolato ma l’unica soluzione è muoversi.
Lasciata tutta l’attrezzatura ci incamminiamo lungo la galleria,scendiamo quasi venti metri e percorriamo tutto il meandro fino a sbucare sul pozzo da 50 m che attualmente è il fondo della grotta a -848 metri .
Sentiamo tanta aria e una volta risaliti sulla galleria sommitale del meandro altra aria sembra spingerci giù al fondo. Ci pare impossibile, ma da qualche parte quest’aria dovrà pur andare.
Oramai è tardi e ogni volta che ci fermiamo sento il freddo dentro e ho voglia di scaldarmi. Non riuscirei a continuare l’esplorazione. Sono solo le 18.00, si potrebbe continuare , la corda è poco distante, ma ho freddo. Lillo capisce e piano piano torniamo indietro.
La strada non è così banale, siamo in mezzo a una frana ciclopica e ogni tanto pare di sbagliare la strada e verso le 21.00 arriviamo al bivacco. Mi cambio in tutta fretta e ci scaldiamo una zuppa Knorr con mezzo chilo di tortellini scaduti, giù carne simmenthal e tonno e sardine, finchè con la pancia piena alle 22.30 ci addormentiamo dentro i caldi sacchia a pelo.
E ‘ una notte strana, sento i piedi freddi, ogni tanto un brivido mi scuote, faccio dei sogni strani, mi giro rigiro, sento Lillo che russa e sento che si muove. Poi sogno e mi rigiro finchè vedo la luce della tikka che si accende, “che ore sono?” . Le 7.30 di sabato. Ma come può essere? Abbiamo dormito tutto questo tempo?
Un litro di cappuccino liofilizzato da condividere in due e poi a sparecchiare il bivacco per la lunga risalita.
Alle 9.30 partiamo per la superficie, abbiamo tre sacchi e siamo in due. Il freddo alle ossa è sparito, siamo riposati, lucidi. Parto per primo con i due sacchi e tribolo a portarmi fuori dalla strettoia del Corno de Beco. Ci aspettiamo pozzo dopo pozzo, passa mano dei sacchi e lungo il fossile che porta al Xera ora parliamo dei film anni ’70, della Fenech, di Claudia Cardinale e Laura Antonelli.
Discorsi filosofici sull’erotismo e la pornografia e si parla del film Gola Profonda.
E così batteziamo la diaclasi che ci ha fermato Diaclasi Gola Profonda e via su per le corde.
Arriviamo alla tirolese del Xera ora alle 12.00 circa e ci fermiamo a sistemarla un po’ rivedendo nodi e inseguendo buline alla ricerca della perfezione estetica e pratica.
Perdiamo un po’ di tempo e ci fermiamo a pranzare con la solita scatola di tonno e il latte condensato.
Ora davanti a noi abbiamo la parte più dura fatta di meandri e saltini infini.
Il mio sacco un po’ la volta comincia a pesare sempre di più, per qualche fenomeno strano della natura la massa aumenta, cerco per un po’ di portare anche il secondo sacco , ma mi è impossibile.
Chiedo a Lillo:<< Ti dispiace portare il sacco?>> .
Lillo risponde :<< Nessun problema lo porto io>>
Penso e non lo dico ma sicuramente si capisce:<< Grazie Lillo non riuscirei ad uscire altrimenti>>.
Via sempre più su e la fatica muscolare si fa sentire.
Lillo è davanti con due sacchi e faccio fatica a stargli dietro, ma la mente è fresca e riposata e la progressione va bene.
Sistemiamo l’armo del Pozzo degli occhiali e poi su.
Sono sempre più stanco e il sacco pesa 50-100-1000 kg.
Arriviamo alla base della diaclasi bagnata e mi “ciuccio” un po’ di latte condensato per l’ultimo sforzo.
Tribolo con un sacco e penso a Lillo che ne ha due.
Gli chiedo :<< Come fai a non incastrarti?>>
Risposta : << A forza di bestemmie vengono su anche loro>>.
Ok ho capito!
Alla base del primo pozzo si vede la luce che filtra dall’ingresso e ci ritornano le forze.
Intoniamo quattro canzoni di montagna a scuarcia gola , come per farci sentire. La felicità è alle stelle e la stanchezza non c’è più, sparita, lasciata giù dietro di noi nell’abisso.
L’ingresso è illuminato dal sole, le pareti sono come incandescenti, lo spettacolo è unico e me lo gusto pedalata dopo pedalata.
Alle 17.15 circa siamo fuori, il sole ci scalda, ci stringiamo la mano e un grazie per tutto quello che abbiamo vissuto e condiviso in queste 32 ore di grotta.
Dal bivacco Tre fontane sentiamo un grido, rispondiamo e alla grotta troviamo il segno dell’amicizia.
Scritto su un sasso con dei paletti di legno la firma dello zio.
Siamo felici ancora di più e Alberto ci viene incontro lungo la Highway to Corno.
<< La mangiate un pastasciutta? Alessandra ha portato su il ragù di carne >>
Non so cosa rispondere.
E’ tutto fantastico.

matteo

Ultima uscita del corso

Con  l’uscita all’Abisso Est di sabato scorso si è praticamente concluso il 23° Corso di Introduzione alla Speleologia del GSM.
Ci siamo trovati alle 7 a Malo e dopo la sosta da Mariolo a Zugliano, abbiamo cominciato la salita dei tornanti verso Luisiana.

Piccolo contrattempo a Luisiana dove a causa della copertura dei cellulari  ancora scarsa abbiamo rischiato di perdere un corsista, ma  niente paura perchè la strada è obbligatoria  e lo stemma del gsm sulle macchine è inconfondibile.

 4 delle 5 donne del corso di quest’anno (su 9 allievi! oltre il 50%)

Arrivati a Camporossignolo un bel gelo ci ha accolto, ma è bastato un  brivido sulla pelle e di corsa ci siamo cambiati. Poi a carburare le bombole con il solito rito e il solito odore pungente che per alcuni sarà stata anche l’ultima volta visto il desiderio oramai irrefrenabile  di passare ai led.

Ma niente paura  anche questa volta le bombole sono state caricate e in fila indiana ci siamo addentrati nel bosco.

A due a due, allievo con il suo  istruttore, ci siamo calati nell viscere dell’Abisso Est e l’ombra del  tempo ci ha accolto.

Alla profondità di -200 circa ci siamo incontrati tutti, caffè caldo , the alla mela verde caldo, le risa, le gioie, le paure e i timori degli allievi erano ormai scomparse.

Si torna in su con un picoclo momento di panico per il rompersi di un pedale e si guarda la grotta con le sue finestre e la sua aria che sembra trattenerti dentro per condurti verso  nuove prosecuzioni. Ma questa volta dobbiamo fermarci, ogni cosa ha il suo tempo.
Usciamo che sono le 17.30 circa. Oramai è finita, le fatiche sono passate e anche i brividi di trovarsi a 40 metri da terra sono alle spalle e  gli allievi sembrano essere soddisfatti.
Che la  festa abbia inizio.
Sosta al Turcio per un brindisi di prosecco e poi alla Pineta di Cesuna a mangiare e divertirsi in compagnia, a parlare di nuove esplorazioni, a sparare cazzate.
A  qualche ora dopo la mezzanotte  si sono spente le luci in sala e tutto fu silenzio.
Anzi no,  rimaneva solo il dolce, caro, lieto beato suono dello speleologo  che russa.
Per quel che mi riguarda un grazie agli allievi e a tutti gli istruttori che si sono dedicati per la bella riuscita di questo corso.
Un ringraziamento particolare alle persone che hanno organizzato la festa di sabato e preparato la cena e colazione.
Speriamo di aver lasciato un ricordo positivo agli  allievi.

Matteo Scapin

Uscita del corso al Degobar

Un’altra uscita è andata e nemmeno le avverse condizioni meteo hanno saputo arrestare la voglia di grotta dei nostri allievi del 23° corso.
Sotto una pioggerella e un cielo plumbeo ci siamo ritrovati a Malo alle 7.00 di ieri mattina .
Noi istruttori, conoscitori dell’Abisso Degobar, eravamo consci che la calata del secondo pozzo in caso di pioggia può diventare umida e che l’avvicinamento nel bosco sarebbe stato molto più bagnato.
Loro, gli allievi,  non conoscevano il Degobar,  ma dopo la lezione di giovedi sapevano bene che la meteorologia ipogea non c’entra nulla con le condizioni del tempo.
In questa confusione cerebrale siamo partiti lo stesso per “raccogliere” gli altri al cimitero di Caltrano.
Alle 7.40 eravamo tutti in cerchio a confessare le nostre paure e timori, 50 % con tanta voglia di andare in grotta e 50% con tanta voglia di tornare a indossare le pantofole.
Gli allievi che guardavano gli istruttori e gli istruttori che guardavano gli allievi, tutti in cerca di una conferma e di una decisione, ma intanto la pioggia cadeva.
In questo aquazzone cerebrale la decisione improvvisa quasi un fulmine nella tempesta: “si va!”
Salendo i tornanti del Costo i mille dubbi assillano la mente, ma piano piano che si saliva la pioggia diminuiva sempre più finchè a Gallio il miracolo.
Finestra di bel tempo, possiamo attaccare la grotta. Ma dobbiamo essere veloci.
Capuccino e briosce e poi su a Campomuletto. Ci  cambiamo che il tempo tiene, avvicinamento con le ombrelle chiuse. Veloci che fra poco inizia a piovere di nuovo.
Fuori dall’ingresso allestiamo un telo e poi giù lungo la corda in ordine….ma …….”dov’è il secondo allievo che deve scendere con il suo istruttore ?”. “Boooo” è la risposta unanime “Chi li ha visti?”
Parte così una squadra di soccorso che dopo poco ritrova l’istruttore e il suo allievo persi nel bosco di Campomuletto con gli occhi spaventati in preda a delirio che pronunciavano frasi sconnesse.
Una volta calmati, guardano il buco nero che scende nelle viscere del Degobar e nella loro mente tutto torna normale.
Il set fotografico per immortalare gli allievi
Sul  secondo pozzo la squadra fotografica di Sandro immortala ogni speleologo per la prossima
copertina del National Geographic e tutto fila liscio finchè il mio allievo giunge al primo frazionamento della giornata.
Momento di panico, mollo non mollo, mollo tutto, ma  come si fa la chiave?…..è meglio se torniamo sotto il telo e aspettiamo gli altri.
E così, mentre il corso proseguiva con l’uscita in grotta fino al bivacco a -200, noi ce  ne stavamo sotto il telo di nylon a fianco dell’ingresso dell’Abisso Degobar  a contare le gocce che cadevano .
 Pozzo Carcun
Aspetta  e aspetta,  mentre la perturbazione si abbatte sempre più intensa  ci facciamo anche una pennichella.
Nel primo pomeriggio  i primi ad uscire sono i venexiani e poi a due a due tutti gli altri finchè alle 18.30 sono tutti fuori corde comprese.
Un buon brulè riscalda le membra sotto una calda  tettoia, mentre fuori diluvia.
Alla fine   tutti contenti, gli istruttori,  gli allievi e  il pizzaiolo di Canove.
Ciao
Matteo Scapin